Il bambino immaginato. Quando il desiderio incontra l’assenza

Prima ancora del concepimento, c’è un figlio che nasce nella mente e nel cuore.

Lo immaginiamo quando sfioriamo l’idea di diventare genitori, quando fantastichiamo somiglianze, quando pronunciamo un nome ad alta voce anche solo per gioco. Questo figlio non esiste ancora nella realtà, ma dentro di noi sì. È il bambino immaginato.

È una figura interiore, fatta di attese, sogni, desideri. Prende forma dalla nostra storia familiare, dalle immagini che abbiamo visto crescere intorno a noi, dai racconti che ci portiamo dentro da generazioni. È il primo figlio che ogni madre e ogni padre concepiscono, non nel corpo, ma nell’anima.

Quando il bambino non arriva

A volte, però, quel bambino immaginato non diventa realtà.

Non si concretizza in una gravidanza, oppure si perde troppo presto. In altre situazioni, la diagnosi di infertilità o il lungo percorso della procreazione medicalmente assistita costringono a fare i conti con una lunga attesa, con il silenzio, con l’assenza.

E lì, accanto al dolore del corpo o al vuoto delle parole, si fa sentire la perdita del bambino immaginato.

Un lutto invisibile, spesso ignorato anche da chi lo prova. Un lutto che non ha foto da guardare, oggetti da tenere stretti, date da ricordare. Ma che ha radici profonde e vere.

Il dolore di quel bambino che non è mai arrivato nel mondo, ma che era già nato dentro di noi.

Dare voce a ciò che non si vede

Nel mio lavoro psicoterapeutico, accompagno spesso persone e coppie che si trovano esattamente in questa soglia: tra il desiderio e l’assenza. In questo spazio sottile, fragile, c’è bisogno di ascolto, di accoglienza, di parole che non giudicano.

Riconoscere il bambino immaginato è un passaggio fondamentale. Significa dare dignità a un legame affettivo, simbolico, che ha abitato il cuore. Significa prendersi cura del proprio sogno, della propria storia, e anche del dolore che lo accompagna.

A volte lo facciamo attraverso il corpo – con pratiche come l’haptonomia – per ristabilire un senso di contatto e presenza. Altre volte con la scrittura, le immagini, o semplicemente con il racconto: scrivere una lettera a quel bambino, immaginare un congedo, oppure tenerlo nel cuore come parte di sé, senza più che sia un peso invisibile da portare da soli.

Una storia che merita spazio

Il bambino immaginato non è un’illusione. È il primo passo di un amore che cerca forma. E anche se non arriva mai a compiersi, resta.

Resta come esperienza profonda, come traccia, come possibilità di trasformazione.

C’è una frase che spesso offro alle persone che accompagno:

“Anche ciò che non è accaduto come speravi merita una storia, un posto, un senso.”

Perché ogni desiderio di vita è degno di ascolto. Ogni lutto merita uno spazio.

E ogni cuore che ha sognato un figlio merita di essere visto, accolto, abbracciato.

Vuoi approfondire o hai vissuto un’esperienza simile?

Nel mio studio, online o in presenza, offro percorsi di accompagnamento dedicati al desiderio di genitorialità, alla perdita e alla trasformazione.

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